Una domenica di pioggia

Piove a dirotto, il biglietto per il “bus con portabici” con stampato su l’orario delle 9:12 è rimasto sul tavolo della cucina inutilizzato. L’orologio ormai segna le dieci e il sito delle previsioni meteo mostra solo una serie di nuvolette da cui escono gocce e lampi. Così, in quella che doveva essere la mia tanto attesa domenica in bicicletta, invece di raggiungere la montagna con gli amici per poi divertirci con una lunga discesa a valle, mi ritrovo da solo a guardare annoiato le gocce sui vetri.
Mentre fisso la finestra vedo giù in strada una mano che mi chiama con ampi gesti. La mano appartiene a un omino su una piccola bici rossa con una gigantesca borsa sul portapacchi che, mentre la mano insiste, sembra guardare proprio nella mia direzione. A prima vista non credo di conoscerlo e apro la finestra per vedere se nei dintorni c’è qualcun altro a cui si rivolge ma, appena ho schiuso i vetri, ha iniziato a giungermi anche la sua voce.
L’omino chiama proprio me: – «Vieni Franco, vieni giù! Ho inventato un cacciapioggia, vieni dai!». Con mille domande in testa e con una curiosità scettica mi metto intorno qualcosa, scendo e lo raggiungo. È magro, minuto, indossa camicia blu e pantaloni rossi e ha delle grosse scarpe gialle ai piedi. Capelli neri arruffati fanno corona alla calvizie della sommità del capo e un paio di occhiali dalle lenti troppo grandi sta in equilibrio precario sulla punta del suo naso. – «Ti ricordi di me, Franco? Sono Artelio, abbiamo lavorato insieme alla fabbrica delle macchine svita-tappi!» mi dice con due occhi neri e luccicanti che accendono una lampadina nelle stanze più lontane della mia memoria. – “È vero” penso “ma è passata una vita da quei tempi!”. Però un personaggio eccentrico come l’ingegner Artelio Buscalocure non dovrebbe essere facile da dimenticare. – «Certo Artelio! Ti ho riconosciuto subito» mento «come stai? E cosa ci fai sotto casa mia in bici con questo tempo?». – «Sono mesi che aspetto la pioggia per provare la mia nuova invenzione e che penso che se la devo provare con qualcuno lo devo fare con te. Sei ancora appassionato di viaggi e di vacanze in bici, vero? Volevo avvisarti per tempo ma stamattina la pioggia mi ha colto di sorpresa e allora sono corso qui sperando di trovarti a casa».
Mentre parla mi accorgo che né io né lui siamo minimamente bagnati nonostante stia piovendo copiosamente e alzando gli occhi al cielo vedo che le gocce d’acqua sopra le nostre teste rimbalzano come se ci fosse un ombrello invisibile. Dalla borsa sul portapacchi esce un sottile ronzio. – «È qui dentro!» continua entusiasta Artelio mostrando il borsone «l’ho chiamato cacciapioggia: lancia in ogni direzione per un diametro di tre metri delle particelle ionizzate che respingono le gocce. Sarà una rivoluzione per tutti coloro che amano stare all’aria aperta e che sono costretti a rinunciarvi quando piove». È proprio tipico di Artelio venire a trovarti dopo anni e parlare come se ci fossimo visti la sera prima. – «Corri, vai a prendere la bici» continua «e speriamo che non smetta di piovere per almeno un paio d’ore, così facciamo un bel test».
Travolto dall’entusiasmo dell’omino e allettato dall’idea di una scappatoia ad una noiosa giornata in casa, corro a cambiarmi e torno in strada equipaggiato e pronto. Artelio intanto ha estratto dal borsone una sacca più piccola e delle robuste cinghie: – «Ecco, questo è il tuo cacciapioggia, te lo lego al portapacchi e lo accendo, ecco fatto! È importantissimo però chiudere bene la borsa, l’apparecchio non deve bagnarsi altrimenti non funziona più, ricorda: asciutto lui uguale asciutti noi, se si bagna lui ci bagnamo anche noi. No! Non prendere lo spolverino: non potrei sapere se la maglia è bagnata di sudore o se l’apparecchio non ha funzionato».
Seguo alla lettera le istruzioni di Artelio, salgo e partiamo, fa strada lui. Mentre usciamo dalla città il temporale si intensifica e inizia a salire il vento, ma le gocce si tengono lontane e rimaniamo perfettamente asciutti. Artelio è sereno e canta. Io lo seguo stupito di ritrovarmi in bici in una giornata che avevo già dato per persa, di pedalare assieme ad un amico che non vedevo da anni e che avevo quasi dimenticato, e di essere completamente asciutto nonostante un fitto temporale.
Le ciclabili e le strade che attraversano i campi sono sgombre oggi, c’è poco traffico con questo tempo, e si pedala benissimo. Rinfrancato dal vento affianco Artelio e gli dico: – «Dai, andiamo al lago, ci mangiamo una pizza, ci raccontiamo un po’ di noi e poi rientriamo». – «Ok» mi risponde. Ma dal suo sguardo vedo che è completamente assorto nel funzionamento della sua invenzione come se stesse valutando ogni possibile variabile. Allora lo supero e punto deciso al lago.
Strada facendo smette di piovere, troviamo una pizzeria con plateatico, ci sediamo e trascorriamo un paio d’ore tra chiacchiere, risate e ricordi. Poi nuove nuvole si addensano e riprende a piovere pesantemente. Artelio è raggiante, il cielo gli ha concesso un ulteriore test per la sua invenzione. Si dirige alle bici e inizia ad armeggiare sui cacciapioggia. La preoccupazione mi prende quando vedo il suo sorriso mutare prima in una smorfia di interrogazione, poi di sorpresa e infine di disappunto e di frustrazione. Si gira verso di me e mi dice: – «Franco, i cacciapioggia non funzionano, non possono funzionare al lago! La vicinanza di una grande massa d’acqua scarica l’emettitore di ioni, è come se fossero bagnati. Sono inservibili qui come sarebbero inservibili lungo un fiume, e il peggio è che per ricaricare l’emettitore servono almeno dodici ore».
Mentre rifletto se è il caso di fargli notare che in questo caso la loro utilità si riduce moltissimo, mi anticipa: – «Temo che dovrò lavorarci ancora un po’, in questo momento non credo che possano servire a molto». Ripartiamo sotto la pioggia battente e stavolta ce la becchiamo tutta. Mi metto a fare strada e Artelio mi segue, ma dopo qualche chilometro lo sento arrancare e mi accorgo che è in difficoltà. Non dev’essere molto allenato e la strada fatta la mattina, insieme alla delusione del test fallito, ha fiaccato le sue gambe.
In cima ad una breve salita ci fermiamo sotto un albero a riprendere fiato. Artelio, seduto su un sasso è visibilmente provato e sembra parlare da solo mentre tiene gli occhi chiusi. Sono preoccupato, abbiamo almeno altri quindici chilometri da fare e siamo fradici, stanchi e demoralizzati. Ma mentre inizio a pensare a un modo per riportare Artelio a casa sano con la sua bici e i suoi apparecchi, l’omino si accende e lancia un grido: – «Ma certo!». Risale in sella e inizia a pedalare con un’energia di cui non lo ritenevo capace.
Mi metto al suo inseguimento e stavolta sono io che su qualche salita mi trovo in affanno. Arriviamo sotto casa mia e senza molte formalità recupera l’apparecchio dal mio portapacchi, lo infila nel borsone, mi saluta velocemente con quegli occhi neri e luccicanti che mi hanno permesso di riconoscerlo e riparte borbottando qualcosa come – “… se armonizzo la polarità…”. Non capisco il senso e non riesco a cogliere altro ma mi trovo fermo sotto il diluvio a guardarlo andarsene deciso.
Chissà se l’ingegner Artelio Buscalocure riuscirà a perfezionare il suo cacciapioggia e a donare un prezioso strumento a chi si muove in bici; intanto però ha donato a me una giornata felice lontano dalla malinconia di guardare le gocce sui vetri, mi ha regalato una strana avventura e mi ha ricordato la potenza che hanno i sogni e l’entusiasmo.
Grazie Artelio!
di Franco Zanella
illustrazione di Luca Stradiotto
(da Ruotalibera 184 – gennaio-aprile 2025)