Cercasi posto bici in Via Roveggia 122
Salve FIABeschi,
dopo 36 anni di percorsi casa-lavoro in bici, proprio quando per la mia tratta da 33 km è preferibile una bici “preziosa” ed appetibile ai ladri (la terza fatta su misura dal mitico Ezio Grandis), il mio posto di lavoro non offre un luogo sicuro dove legarla, ora hanno messo anche il divieto nel sottoscala; a parer mio starebbe bene anche in ufficio dentro allo stanzino, gli angoli nascosti non mancano e basterebbe un gancio per appenderla anche in piedi accanto ad un armadio ma se sei l’unico ciclista rimani incompreso, la preoccupazione degli altri è quella dell’auto che non deve prendere la grandine… Altro che incentivi come per i biker del nord Europa! Mi chiedo in quale bel posto riponeva la bici l’ex primo ministro londinese Boris Johnson quando arrivava al lavoro.
Con il freddo torneranno le “influencer”, e se arriva la lombarda al posto della spagnola basterebbe farle fare una ripresa con la bicicletta al posto di un quadro per fare scoppiare la moda: “Nel mio ufficio ho una Focus del 2020”, “Io ho una Trek del 2000”…
Va beh, almeno arrivando 10 minuti prima sul posto ho la possibilità di rinfrescarmi e cambiarmi…
Per fortuna la stazione di Verona offre un parcheggio custodito a pagamento, così ho piazzato lì una bici vecchiotta e di mattina passo con la “preziosa” per fare il cambio. Sono circa 10 minuti persi, oltre a dover fare per forza quel tragitto. Nuovo proverbio: “Chi lascia la bici vecchia e anche la nuova sa che le lascia ma non sa se le trova”.
Già quando vivevo a Pescara, se c’era sciopero degli autobus, davo uno strappo alla mia vicina di casa invitandola ad accomodarsi sulla canna o sul sellino della mia bicicletta ed in 5 km pianeggianti raggiungevamo la scuola.
A Palermo non dovevo nemmeno cambiarmi d’abito per arrivare al lavoro, solo 5 km ed ero già alla scrivania con possibilità di raggiungere il mare in pausa pranzo.
Nel 2000 bici sull’aereo e zainone in spalla, mi trasferisco a Verona in Borgo Milano, trovo lavoro alle Ferrazze, 9 Km passando dal centro tra profumi di brioche appena sfornate e, come in tutte le città, con mille occhi per osservare se chi guida si è accorto di me o se si è appena fermato e potrebbe aprire lo sportello, facendo a gara con extracomunitari che acceleravano la pedalata quando li superavo (tanto per fargli capire che le donne non sono come loro credono…).
Una volta che ti abitui al traffico cittadino arrivi più sereno, incroci gente lungo il tragitto e magari scambi anche 2 parole. Ma incontrare altri pedalatori sulle ciclabili non è sempre un piacere: ci sono gli stradisti che viaggiano in coppia e non si spostano, quelli barcollanti come ubriachi ma in realtà stanno parlando al cellulare, quelli che svoltano improvvisamente senza nemmeno guardare, ma i più piacevoli da incrociare sono gli sguardi complici e sorridenti dei “cellophanati” come me nei giorni di pioggia.
Io ero l’unica ad arrivare puntuale sotto la neve, mi toccava fare il lavoro degli altri, proprio di quelli che subivo ogni giorno con le solite domande: “Ma non hai freddo?”, “Non hai caldo?”, “Ma piove!”, “Non hai la patente?”. A Verona almeno ho ricevuto dei complimenti per la costanza, a Palermo invece pensavano non avessi abbastanza soldi per comprarmi una macchina.
Provo le prime esperienze cicloturistiche in compagnia (Spagna e Portogallo) e nasce la passione, il tragitto giornaliero si trasforma in allenamento allungando da Avesa-Torricelle-Ferrazze per acquisire sempre più forza e sicurezza per affrontare nuovi viaggi ma stavolta in solitaria: Svizzera, Francia, Londra – Verona; Copenhagen – Verona; Repubblica Ceca – Germania – Verona; Cracovia – Verona e varie regioni italiane.
Ma la tratta indimenticabile, che percorrevo 3 volte alla settimana (gli altri 2 giorni in macchina) è stata quella da San Rocco di Piegara (Roverè Veronese) alle Ferrazze (17 km per 3 anni) e poi fino a Via Murari Bra, per 4 anni 27 km di pura felicità: conoscevo flora e fauna della Pissarotta, arrivavo al lavoro e mentre gli altri nervosi e stressati raccontavano di distrazioni e mancanze di rispetto delle regole o altre tristezze automobilistiche, io raccontavo i miei incontri con gli animali: ranocchi e salamandre dopo la pioggia, bisce, famiglie di caprioli (anche un albino), volpi, e perfino un cervo. A tarda sera il tasso, l’istrice e i cinghiali.
Nel pezzo di strada imbiancato dalla pioggia di escrementi, si sentiva un gran movimento di foglie dall’alto: era l’ora delle cornacchie che lanciavano le noci ed aspettavano il passaggio di un’auto che gliele spaccasse. Poteva capitarmi la poiana che mangiava per strada e all’improvviso spiccava il volo davanti a me, ed io con la fantasia pensavo volesse accompagnarmi… Per due giorni di seguito ho avuto il piacere di fotografare una civetta seduta sempre sullo stesso ramo.
Quasi arrivata alla meta mi fermavo ad ammirare lo spettacolo degli scoiattoli che saltavano sui rami degli alberi, poi tre asinelli mi mostravano i dentoni ed infine il belare delle pecore dei vicini (alle quali avevo insegnato a pronunciare una A finale) segnalava il mio arrivo. Beeeeee…A!
Appena fuori dalla città i cambiamenti delle stagioni si notano più chiaramente: i colori della natura, i profumi dell’erba e della legna, fiori e frutti che vedevo a Mizzole erano solo un’anteprima che avrei rivisto dopo una settimana sui monti.
Da Paravanto in poi, quando splendeva la luna piena, si poteva anche procedere senza luci…
In discesa d’inverno i miei pollici sostituivano il termometro: se si congelavano voleva dire che la temperatura era scesa sotto lo zero, ma per alleviare la sofferenza cantavo le canzoni che hanno per tema il sole, con “O sole mio” sempre in cima alla top ten. In base agli incontri lungo la strada capivo se ero in ritardo o in anticipo.
Al ritorno il mio faro illuminava la strada innevata che pareva un tappeto di minuscoli led accesi; la strada era quasi tutta buia e talvolta capitava di fare dei tratti con il cuore a mille per la paura, il silenzio era interrotto dai rumori del bosco e scorgevo gli occhi di chissà quale animale nascosto, ma dopo le prime salite ho realizzato che a quell’ora è molto più pericoloso passare in città dalla stazione, luogo dove anni fa potevi vedere le lucciole di notte ma erano indice di degrado, invece adesso in montagna sono segnale di aria sana e pulita.
La paura maggiore l’ho provata con la nebbia, una sera ho sentito un grugnito di cinghiali vicinissimo e non capivo nemmeno dove fossero.
In primavera invece i ciclisti spuntavano sempre più numerosi come gli insetti, i suoni della natura erano cinguettii di uccelli diversi tra canti di grilli e cicale.
D’estate le poche macchine che percorrevano la salita passavano sempre dove accostandoti strisciavi contro le spine, così io e mio marito facevamo la discesa con le forbici per tagliare i rami che sporgevano lungo la strada e già che c’eravamo cancellavamo le svastiche disegnate con lo spray.
Ma non solo animali, lungo quella strada talvolta da lontano scorgevo una testa con i capelli bianchi scombinati: era il Prof. Vittorino Andreoli che passeggiava!
Nel periodo del COVID da me c’è stato sempre tanto lavoro e quando passavo in bici dai balconi me ne dicevano di tutti i colori perché pensavano andassi a fare un giro sportivo. Ho pensato troppo tardi di comprarmi una bandierina e scrivere “bike to work”!
Adesso i km sono 33, da un anno abito sotto il comune di Bosco Chiesanuova e l’ufficio si è trasferito in Via Roveggia, la strada da percorrere è piacevole fino a Bellori, poi inizia la Valpantena con le sue fabbriche, camion e auto che sbucano dalle traverse, pezzi di ciclabile ben fatti e la “rotonda russa”, quel pezzo orribile che attraversa l’uscita della superstrada. Da quando una signora mi ha tagliato la strada preferisco allungare facendo il giro da San Felice Extra. Ma i miei pellegrinaggi al santuario della Madonna della Corona (protettrice di corone, catene e pignoni) per chiedere il pezzo di congiunzione ciclabile per evitare la rotonda stanno funzionando… Wow, grazie! Ho già visto la ruspetta…
I 2 o 3 giorni che non vado al lavoro in bici prendo la corriera, il 110 E LODE dove posso leggere, ascoltare musica, scrivere storie come questa, ascoltare dal vivo racconti di personaggi simpatici o riposarmi, insomma non devo rinchiudermi nella scatoletta di latta a sprecare il tempo in colonna o al semaforo. Al ritorno, quando il bus parte dal capolinea della stazione, mi pare di sentire la canzone di Gianluca Grignani “Destinazione Paradiso…”
Ma il giorno più bello arriva ogni anno durante la settimana della mobilità: noi ciclisti veniamo premiati con un cioccolatino offerto dai volontari della FIAB in vari varchi delle ciclabili di Verona ed io arrivo al lavoro con un accumulo di circa 8 cioccolatini. GRAZIE!
Beeee…Atrice Virga.
di Beatrice Virga
(da Ruotalibera 180 – ottobre-dicembre 2023)