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La lunga marcia degli AdB Verona per le piste ciclabili

Come e in che misura gli Amici della Bicicletta di Verona hanno contribuito allo sviluppo della rete ciclabile cittadina?

La domanda ricorre spesso tra i soci. E spulciando la collezione di Ruotalibera, ora completa grazie al monumentale lavoro di archiviazione di Luciano Lorini, possiamo provare ad abbozzare qualche elemento di risposta. I freddi numeri possono apparire impietosi: al 31.12.1999, nel capoluogo scaligero risultavano in funzione soltanto 5 km di piste ciclabili (più qualche altro chilometro di percorsi scarsamente segnalati, come sugli ampi marciapiedi di viale Galliano, davanti alle piscine), per la maggior parte costituiti dalle ciclabili di via Torbido, Lungadige Galtarossa e viale Piave – Stradone Santa Lucia.

Quasi nessuna di esse era stata voluta, richiesta o anche soltanto ritenuta prioritaria dalla associazione, che fin dai primi passi aveva privilegiato tracciati alternativi rispetto alle grandi e inquinate arterie di traffico. Eppure gli Amici della Bicicletta hanno giocato un ruolo centrale nel movimento di modernizzazione della città.

Come è andata?

I PRIMI PASSI NEGLI ANNI OTTANTA

“Non serve un sistema di ciclabili qualunque (perché poi non verrebbero usate) ma un sistema ben fatto” era il mantra del primo gruppo dirigente formato da Lucio Garonzi, Stefano Gerosa, Enrico Girardi e gli altri componenti dell’associazione e della redazione della rivista. Pur avendo stanziato a questo scopo 1,8 miliardi di lire, la politica locale appariva del tutto impreparata ad accogliere il messaggio cicloambientalista: in Comune risultavano mancare le competenze necessarie alla progettazione di piste o percorsi ciclabili e la cultura era fortemente auto-centrica.

Nel 1986, per fare un esempio, il presidente della Cassa di Risparmio (ed ex presidente della Camera di Commercio) Alberto Pavesi si conquistò il “Premio Attila” con la proposta di “una autostrada sotto l’Adige”, finalizzata a “sviluppare lo scorrimento tra Nord (Affi) e Sud (Legnago) della città”.

Estratto della cartina delle ciclabili presa dal Piano del 1987

LA MADRE DI TUTTE LE PROPOSTE

Forte dell’entusiasmo giovanile, delle prime indicazioni del Parlamento Europeo a favore dell’uso della bicicletta e dei primi finanziamenti regionali e statali per la realizzazione di ciclopiste (il futuro disegno di legge Tognoli), il Congresso AdB del gennaio 1987 diede il via alla “battaglia per le ciclabili” sulla base di un documento, molto articolato, intitolato “Idee per un progetto di rete di piste ciclabili a Verona”, redatto da Stefano Gerosa, Fabio De Togni e Marco Passigato in collaborazione con Carlo Furlan di Legambiente, che a lungo ha rappresentato la “madre” di tutte le proposte di pianificazione, con soluzioni innovative in molti casi valide ancora oggi.

Se pensiamo che al tempo non c’era Internet e tanto meno Google Maps, e che pertanto tutte le informazioni, le misure, i confronti andavano attinti personalmente, sul campo, il lavoro svolto dal gruppo potrebbe sembrarci improbo. Ed in effetti lo fu. Nel 1988, sotto la spinta delle ciclomanifestazioni e delle petizioni, l’amministrazione Sboarina (quella di Re Lele) con assessore Giuseppe Adami, si decise finalmente ad avanzare una prima proposta di piano, che tuttavia venne respinto dal gruppo AdB come “sciatto, incompleto, discontinuo”.

Dopo un confronto politico, le osservazioni degli Amici della Bicicletta vennero accolte soltanto come raccomandazioni. “È comunque un inizio” commentavano su Ruotalibera 16 di febbraio 1989. In occasione dei Mondiali di calcio Italia Novanta gli AdB tornarono alla carica con il documento “4 ciclopiste per i Mondiali Novanta” (supplemento a Ruotalibera numero 20 dell’ottobre 1989) che si poneva un duplice obiettivo: da una parte rendere il centro storico più permeabile alle bici attraverso l’individuazione di percorsi ciclabili in Piazza Bra, Via Roma, Via Oberdan e Piazza Erbe. Dall’altra parte, si proponeva di creare delle direttrici di collegamento centro-quartieri, possibilmente lontane dalle grandi arterie di traffico, quindi: a Corso Venezia veniva preferito il passaggio da via Fiumicello; all’Attiraglio veniva preferito un percorso interno al quartiere Catena fino alla Diga del Chievo. Inoltre si puntava molto sulla pista del Camuzzoni, di cui era già stata avviata la progettazione, e su quella di Viale Piave, passaggio obbligato per raggiungere Verona Sud.

I PRIMI RISULTATI NEGLI ANNI NOVANTA

Poco alla volta, a suon di “bicifestazioni” e di incarichi al tecnico AdB Marco Passigato chiamato da quasi tutte le amministrazioni a visionare e rivedere i piani di “rete”, le idee degli AdB cominciarono a farsi strada. La prima importante vittoria arrivò nella prima metà del 1993 con una ordinanza che ammetteva le bici sulle corsie preferenziali di Corso Castelvecchio (tratto da Via Roma a Largo Don Bosco), Ponte Navi (direzione Via San Paolo) e Via Rosa Morando fino a Porta Vescovo. Una “legalizzazione delle biciclette in centro storico”, come venne definita. Per il primo cantiere di una ciclabile si dovrà invece attendere il 1994, con l’avvio dei lavori della pista di Viale Piave (“Il cartello intanto c’è”, titolava il numero 45 di Ruotalibera di ottobre-dicembre 1994).

Estratto da un numero di Ruotalibera del 1997

Immediatamente dopo il termine dei lavori, emersero tuttavia i primi limiti di frammentarietà e discontinuità che ricorreranno in molte altre realizzazioni veronesi: “Invece di creare una striscia continua di sicurezza – scriveva Gerosa sul numero 52 di luglio-settembre 1996 – si sono posizionati molti segnali di fine/inizio pista ciclabile in prossimità di ogni accesso carrabile, con evidente pericolo per il ciclista; e beffa, anche perché ha torto se un automobilista svolta repentinamente e lo investe”. Della ciclabile di via Torbido, gli AdB apprezzeranno proprio l’attraversamento ciclabile in intersezione con Viale dell’Università, mentre per il resto accoglieranno l’opera (che avrebbero voluto più spostata tra la siepe e il vallo) con relativa freddezza in quanto percepita come calata dall’alto.

CRISI DI IDENTITÀ

Il tanto impegno profuso e i relativamente magri risultati raccolti, unitamente alla scarsa incisività che il movimento ambientalista italiano mostrava nel suo complesso, sembravano determinare un momento di ripensamento all’interno dell’associazione. Nel numero 54 del gennaio-marzo 1997 il neo presidente Massimo Muzzolon, succeduto nel frattempo a Lucio Garonzi, si chiedeva “se non tocchi agli AdB e alla FIAB nazionale cominciare a lavorare per promuovere la riqualificazione dell’ambiente urbano”, in favore del quale “la bicicletta può svolgere un ruolo importantissimo, ma sicuramente non l’unico possibile”.

Nel numero 57 dell’ottobre-dicembre 1997 Gerosa annunciava provocatoriamente di voler rinunciare alla bicicletta in città in quanto troppo pericoloso circolare. “Questa mia decisione non è definitiva – precisava –. Significa però che la battaglia per le piste ciclabili seppur necessaria non è più sufficiente, e che occorre muoversi e agire in molte altre direzioni”. È il momento in cui gli Amici della Bicicletta abbandonano la linea della pista ciclabile come unica o principale richiesta rivendicativa per sviluppare più organicamente i temi dell’ecologia urbana: moderazione del traffico, sviluppo di percorsi sicuri casa-scuola, iniziative di bike to work. Un passaggio suggellato anche dall’aggiunta della dicitura “Per una Città Possibile” accanto al proprio nome.

L’ESPLOSIONE NEGLI ANNI DUEMILA

Principale interprete di questa nuova fase sarà Paolo Fabbri che nel 2002 prenderà il testimone della presidenza da Muzzolon, confrontandosi con la nuova amministrazione civica e di centrosinistra guidata dall’avvocato Paolo Zanotto: “Una politica a sostegno della bicicletta non è solo percorsi ciclabili – scriveva Fabbri in uno dei suoi primi editoriali sulla rivista – è comunicazione, moderazione del traffico, interessamento degli operatori turistici e dei commercianti, recupero dei quartieri, coinvolgimento delle scuole e delle circoscrizioni, politiche giovanili e polizia municipale (per contrastare i ladri di bici)”. Di fatto però la nuova amministrazione si concentrò soprattutto nel riattivare le tante progettualità pregresse, a lungo sopite o rinviate.

Cominciò a lavorare al completamento della ciclabile di Via Torbido collegandola a Ponte Aleardi e a Via Pallone; al completamento della pista di Viale Piave collegandola a Corso Porta Nuova e alla Stazione; alla ramificazione della pista di Stradone Santa Lucia per portare le bici fino al cuore dei quartieri. E, soprattutto, al costosissimo collegamento Montorio – Borgo Venezia – Porta Vescovo. Con un Sindaco (Zanotto) che figurava tra i soci, il 2002-2007 si annunciava come un periodo d’oro per la mobilità ciclistica veronese.

E in effetti il censimento riepilogato da Luciano Lorini su Ruotalibera nel 2010 (numero 116 del marzo-aprile 2010) sommava 50 km di percorsi ciclabili, “di cui 35 sono piste (ovvero con elemento separatore) e i rimanenti corsie (con la sola striscia gialla)”. Sulla base delle indagini sulla mobilità svolte dal Comune, la percentuale dei movimenti quotidiani fatti in bicicletta passò dal 2,5% del 1997 al 7,3% del 2004. Comunque la si voglia vedere, si trattava di un bel salto in avanti, realizzato in pochissimi anni. I risultati tuttavia non ressero alle altissime aspettative presenti al vertici dell’associazione che alla giunta di centrosinistra riconoscevano sì, l’impegno profuso, ma chiedevano molto di più in termini di promozione della ciclabilità che invece veniva “sminuita” sotto l’aspetto dell’immagine e della sicurezza, fissando lo stereotipo secondo cui andare in bici restava un’azione rischiosa.

IL DECENNIO TOSIANO

I rapporti con l’amministrazione si guastarono ma quel che è peggio è che la destra, riconquistando il Comune alle elezioni del 2007, fece scontare all’associazione il fio della (presunta) vicinanza con la precedente giunta di centrosinistra: venne immediatamente chiuso l’Ufficio Biciclette; ritirata l’ordinanza che consentiva libera circolazione alle biciclette sulle preferenziali della ZTL; gli AdB esclusi dalla Consulta della Mobilità a cui venne invece ammessa la federazione dei ciclisti sportivi. L’associazione si trovò così a contestare la cancellazione di alcune piste, a partire da quella di via Ghetto e poi anche quella di via Todeschini, mentre cercava di arginare i tentativi di mettere al bando altre ciclabili (ad esempio Via Nizza) finite nel mirino di petizioni promosse da commercianti affamati di posti auto per la clientela.

Lettera a Tosi

Il decennio tosiano fu caratterizzato da duri scontri politici tra associazione e giunta, ma non fu improduttivo sotto l’aspetto della realizzazione delle ciclabili. Sotto Tosi sono iniziati i lavori per la realizzazione delle ciclabili di Via Valpantena; Borgo Roma è stata collegata alla Zai di San Giovanni Lupatoto; San Michele è stato collegato con Porta Vescovo; è arrivato il bike sharing, si sono gettate le basi per la marchiatura. Le rilevazioni FIAB sul campo, nell’ambito dell’iniziativa “Premia il Ciclista”, stimavano la presenza di circa 14 mila ciclisti quotidiani. A conferma che, destra o sinistra, l’onda della mobilità ciclistica stava comunque montando.

I TEMPI NOSTRI

Il resto è storia recente: Verona ha sviluppato una rete (per molti tratti ancora frammentaria e incompleta) di circa 100 km di piste e percorsi ciclabili, con un PUMS, Piano Urbano della Mobilità Sostenibile, che si ripromette di raddoppiarli. Con le ultime presidenze di Giorgio Migliorini e Corrado Marastoni l’obiettivo strategico dell’associazione viene spostato ulteriormente: a fare la differenza, oggi, è una politica che limiti e disincentivi il traffico motorizzato privato.

(da Ruotalibera 176 – ottobre-dicembre 2022)

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Michele Marcolongo

Michele Marcolongo è nato il 5 novembre 1975 a Verona, la città dove vive. Laureato in Scienze Politiche all’Università di Padova con il massimo dei voti, dal 2005 svolge attività giornalistica e di comunicazione collaborando con quotidiani, riviste e come addetto stampa di associazioni ed esponenti politici. Nel campo della comunicazione per la mobilità sostenibile dall’ottobre 2010 collabora con il trimestrale BC (la rivista di FIAB nazionale) mentre è da ben più tempo addetto stampa di FIAB Verona e capo redattore della rivista Ruotalibera.
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