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Ciclabile dell’Alta Val d’Illasi, bella ma lontana

Questo articolo di Franco Zanella ridà luce a una questione nota: la pista ciclabile in alta val d’Illasi tra Cogollo e Giazza – realizzata coi fondi per i comuni confinanti col Trentino – è di grande bellezza e qualità ma non è agevole raggiungerla in bici, sia da Verona che dal fondovalle. Entrambi questi aspetti vanno risolti.

L’assenza di collegamento con la città fa mancare un importante flusso di visite, come mostra la vicina pista dell’Agno-Guà ben frequentata dai vicentini. Quanto al completamento della pista in bassa valle, il progetto – uno studio di fattibilità in cerca di finanziamento – prevede un tracciato lungo il corso del torrente, piuttosto lontano dai centri abitati.

Comunque nell’attesa esiste già un buon itinerario su piste e strade secondarie (con qualche tratto sterrato e brevi sensi unici da percorrere a piedi con bici a spinta) che da Caldiero attraversa Illasi e Tregnago, a vantaggio sia dei visitatori che della mobilità e dell’economia locale: si veda a questo link.

La ciclabile dell’Alta Val d’Illasi, tra Cogollo e Giazza, è bellissima: forse una delle più belle su cui io abbia pedalato: ben tracciata e ben realizzata, piacevole in salita, divertente in discesa e con pendenze affrontabili da chiunque abbia un minimo di allenamento (salvo la rampa finale che però, vista la brevità, si può fare anche a piedi spingendo la bici).

Quello che mi ha spinto a scrivere queste righe non è però purtroppo la voglia di decantare quest’opera la cui bellezza è indubbia, ma il voler condividere la difficoltà che ho trovato nel raggiungerla da Verona. Partiamo una domenica mattina da Borgo Venezia con l’intenzione di pedalare fino a Giazza passando da San Martino Buon Albergo, Vago, Donzellino, Illasi e Tregnago.

Per raggiungere San Martino percorriamo la nuova ciclabile “Marotto” che congiunge San Michele Extra con lo stabilimento Aia passando sotto la tangenziale est. Pronti, via! Ed ecco il primo ostacolo: provenendo da via Confortini l’inizio della nuova ciclabile si trova nascosto da una ringhiera e da alcuni rami e non c’è alcuna segnaletica. Così chi arriva da Borgo Venezia non lo vede e passa facilmente oltre trovandosi ai giardini di via Sgulmero. Poco male: basta girare le bici e tornare indietro, ma una lieve sensazione amara rimane.

Imbocchiamo finalmente la “Marotto” che è ben asfaltata e scorrevole ma che, alla rotonda dello stabilimento Aia, si interrompe senza alcun preavviso lasciandoci in piena statale. Non c’è nemmeno un marciapiede o una banchina sterrata a darci un po’ di spazio per evitare il rischio di trovarci sotto una macchina o sotto un camion.

Attraversiamo per portarci sul lato destro della strada e, mentre procediamo in fila indiana sul bordo dell’asfalto con le macchine che sfrecciano al nostro fianco, alziamo gli occhi e, esattamente settanta metri più avanti, sotto il cartello “San Martino Buon Albergo”, fa bella mostra di sé l’inizio della ciclopedonale che porta fino all’incrocio con via Verdi in località Sant’Antonio in un percorso di nuovo protetto.

E ci nasce spontaneo un pensiero nei confronti di quei due soggetti che hanno progettato e realizzato queste due opere voltandosi le spalle e senza mai pensare alla possibilità di collegarle, fosse anche solo con una corsia ciclabile (che non sarebbe il massimo ma comunque meglio di niente).

Continuiamo e percorriamo gli ottocento metri di ciclopedonale tra il cartello di S. Martino e il semaforo di via Verdi, cercando di non fare caso a come questa sia stata realizzata e quanto sia effettivamente fruibile (profonde deviazioni per superare strade laterali, un attraversamento obbligato in rettilineo dove difficilmente le macchine rallentano per agevolare i ciclisti e alcune strettoie e chicanes che si potrebbero definire per lo meno creative).

E quando si arriva al semaforo di via Verdi la situazione di prima si ripete: ciclisti depositati sulla strada principale a pensare come raggiungere il lato destro della via senza farsi investire e ad attraversare poi il centro di San Martino mentre macchine e camion sfrecciano loro accanto.

L’uscita dal paese passa per il nuovo quartiere che sta sorgendo tra il centro e l’Oasi San Giacomo percorrendo una strada interna sui cui larghi marciapiedi trovano posto degli spezzoni di ciclabile che però sembrano anche qui distrattamente posizionati un po’ di qua e un po’ di là della strada con i soliti attraversamenti improvvisi e le profonde anse nelle vie laterali.

Tra ciclabile sì, ciclabile no, ciclabile forse, si arriva a San Giacomo e qui ci sarebbe bisogno che il santo diventasse il protettore dei ciclisti perché il tratto di strada che collega il suo piccolo santuario alla rotonda delle Quattro Strade a Lavagno è uno di quelli che mettono paura: stretto, con una scarpatina sulla destra e con le auto che, appena uscite dall’abitato, si lanciano in corse liberatorie.

Non voglio continuare a lamentarmi per cui non scenderò in dettagli su cosa si trova nei successivi variegati chilometri tra le Quattro Strade e l’inizio della agognata ciclabile a Cogollo di Tregnago, cito solo qua e là: strade senza alcuna protezione, tratti di ciclabili su marciapiedi martoriati da buche e radici, automobilisti che si comportano come se fossero in gara, strade secondarie difficili da individuare e percorsi sterrati in condizioni pessime. Il tutto senza la minima segnaletica dedicata ai ciclisti, che siano sportivi, turisti o semplici utenti della strada che usano i pedali per spostarsi.

Poi, è vero, si arriva alla Ciclabile dell’Alta Val d’Illasi: un vero gioiello. Gioiello che rischia di rimanere però un’opera monca, un’occasione mancata di trasformare un turismo di gite domenicali concentrate a Giazza e nei primi rifugi, che intasano strade e parcheggi e portano caos e inquinamento, in un turismo più dolce e che in prospettiva può dare di più anche in termini di presenze e può distribuire una richiesta di ristorazione lungo tutta la valle.

So che esiste un progetto di prolungare la ciclabile fino a Illasi, è una cosa ottima, ma rischia secondo me di essere insufficiente in mancanza un collegamento sicuro e fruibile fino alla città.

di Franco Zanella
(da Ruotalibera 184 – gennaio-aprile 2025)


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Redazione Ruotalibera

La nostra pubblicazione principale è il quadrimestrale Ruotalibera, che da sempre arriva regolarmente nelle case di tutti i soci, e che illustra la vita e le proposte dell’associazione. Dal 2019 tutti gli articoli della rivista cartacea sono riportati anche online sul sito web, per consentire una miglior indicizzazione e diffusione dei contenuti. Buona lettura!
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