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Replica a Baso (ACI) sulle modifiche al Codice della Strada

Sulla stampa di domenica 4 ottobre, il presidente di ACI Verona Adriano Baso interpreta gli emendamenti al Codice della Strada introdotti in luglio e settembre per agevolare la mobilità ciclistica (tra i quali il doppio senso ciclabile nelle strade a senso unico, le corsie ciclabili, le “case avanzate” agli incroci, l’uso ciclabile delle corsie preferenziali del trasporto pubblico in particolari condizioni di larghezza, le “strade ciclabili” e le “strade scolastiche”) come una sorta di “pericolosa deregolamentazione della mobilità ciclabile” che, secondo lui, “avrebbe un forte effetto diseducativo: alle biciclette tutto è permesso, introducendo nella mobilità metropolitana un’anarchia che non va assolutamente d’accordo con la sicurezza stradale”.

In realtà andrebbe ricordato a Baso che le norme introdotte con questi emendamenti esistono da almeno quindici anni in tutta l’Europa della UE tranne che in due-tre paesi tra cui la Grecia e – appunto – l’Italia; e la prova dei fatti in quei paesi mostra che esse portano a un calo drastico dell’incidentalità, l’effetto esattamente opposto a quello paventato da Baso. Perché? Il motivo è che Baso pensa alle strade urbane come le abbiamo sempre conosciute negli ultimi decenni, ma la storia sta andando in un’altra direzione, e qui in Italia iniziamo ad accorgercene solo ora.

In effetti le parole di Baso rimandano al classico vecchio assunto secondo cui “per le auto c’è la carreggiata, per i pedoni c’è il marciapiede, mentre per le biciclette dove possibile si fa una pista ciclabile ben separata, altrimenti purtroppo ce le troviamo in carreggiata a intralciare il traffico”. Ma in questo modo non si coglie il punto della questione, cioè che in Europa da tempo si sta ripensando la strada urbana non più come “luogo dei veicoli” ma come “luogo delle persone”. Un luogo dove nessuno possa andare a più di 30 km/h. Dove per i pedoni attraversare la strada non sia più un rodeo. Dove usare la bici conviene perché è il mezzo di trasporto più sicuro e più veloce: infatti la Zona 30 e il sapere che nei sensi unici le bici possono andare in senso contrario rende tutti più calmi e più attenti, e permette alle bici di accorciare e facilitare i collegamenti da un punto all’altro della città. Viste in questa prospettiva, le dichiarazioni di ACI Verona – ma anche di ACI nazionale – sembrano solo il tentativo un po’ acritico da “sindacato degli automobilisti” di opporsi all’arrivo di una civiltà mobilistica che ormai l’Europa volenti o nolenti sta portando anche qui da noi in Italia, paradossalmente sotto la spinta dell’attuale emergenza sanitaria.

È chiaro che questo nuovo modo di vivere gli spazi urbani limiterà la tendenza a correre e aumenterà l’attenzione da parte di tutti noi, in particolare quando siamo al volante di un’auto: in questi decenni ai mezzi a motore è stata data un po’ troppa libertà d’azione e, come ci insegna l’Europa, è il momento di tornare a una città più a misura d’uomo. Questo non deve essere facile da accettare per chi, quando qualche mese fa nella bretella per Verona Nord è stato introdotto il limite dei 70 km/h per mettere fine a una cadenza quasi giornaliera di incidenti e carambole, ha usato espressioni come “uno schiaffo agli automobilisti”: forse uno schiaffo sì, ma non agli “automobilisti” corretti, quanto piuttosto ai “piloti” che tendono a vedere la strada come una pista, sia essa una bretella o una strada in pieno centro abitato. È a questi “piloti” che andrebbe spiegato il vantaggio per tutti di questi provvedimenti per le strade urbane, i luoghi dove abitiamo e ci muoviamo con i nostri figli per le faccende quotidiane nei paraggi di casa.

Corrado Marastoni
Presidente FIAB Verona onlus

Foto in evidenza: Ciclisti a Copenhagen in attesa per il semaforo verde (da Wikimedia Comons)

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